Le settimane erano volate via, come accade quando sei presa dalla felicità. Eppure, si diceva Ginger, l’emozione che provava non si avvicinava alla felicità e raramente si dirigeva verso l’euforia. Gioia non era e nemmeno serenità. Forse conteneva un pizzico di sorpresa e perplessità, condite dal suo solito scetticismo.
Al sorgere dell’alba, il primo novembre, aveva salutato Jack senza rimpianti e messo temporaneamente da parte la consapevolezza di stare lì lì per andarsene da questa vita. Aveva spalancato le finestre del suo tre camere, spostato i mobili nella posizione che più gradiva, buttato tutto l’alcol presente in casa, insieme al barattolo di confetti, e fatto una prima spesa essenziale.
La parrucchiera l’aveva vista arrivare a passo di marcia e non aveva avuto il coraggio di ricordarle che toccava prendere un appuntamento. Le aveva tagliato i capelli, li aveva resi luminosi con un riflessante e le aveva regalato la piega. Aveva anche evitato qualsiasi riferimento al suo quasi ex marito, che viveva ormai da temo, e felicemente, col nuovo compagno. Quasi ex marito, perché, purtroppo, le cose stavano così: divorziare richiedeva tempo, anche quando a volerlo si era in due, da molto, anche quando non c’erano discussioni di sorta sui beni da dividere. Il barista, nel loro caso, aveva esortato il fedifrago a non fare storie e a lasciare tutto lì dov’era, tanto una casa ammobiliata l’avevano già. Un po’ a malincuore, il divorziando aveva accettato, portandosi dietro solo la sua preoccupante, a dire del suo nuovo compagno, collezione di soldatini.
Non era mai piaciuta neanche a Ginger e benché lui l’avesse ereditata dal nonno, non riusciva a trovarla minimamente fascinosa o degna di attenzione, nonostante il sospetto che potesse valere davvero qualcosa nel mercato dei collezionisti di collezioni.
Circa il mensile cui avrebbe potuto avere diritto, Ginger aveva subito lasciato perdere: il suo lavoro le bastava e ottenere l’appartamento le era sembrato un risarcimento congruo. Avrebbe aperto una porta di comunicazione tra una delle camere e il bagno più piccolo e avrebbe affittato la stanza, a sole donne: un b&b per gite mordi e fuggi, per aumentare le entrate. Vantaggi dell’abitare in un grazioso centro storico.
Risistemando la libreria, Ginger si chiese come ho potuto non apprezzare quello che ho? Perché in quel momento aveva archiviato le questioni filosofiche e l’aveva messa sul piano pratico: uno stipendio, un appartamento, una nuova possibile fonte di reddito. Un marito in meno, va bene, ma aveva davvero perso qualcosa, considerando come lui l’aveva trattata in tutti quegli anni? Ogni donna dovrebbe ricevere il dono di restare vedova, le aveva detto sua nonna quando lei era ancora troppo piccola per capirne il senso. Divorziare le sembrava ancora la soluzione meno dolorosa per tutti, anche se una vedovanza come si deve, nonostante la modernità, ti concede una reputazione dignitosa in molti paesi.
Tornata a casa, Ginger pensò a cosa avrebbe fatto da quel momento in avanti. A parte il lavoro, si intende, a parte riprendere a girare per il quartiere, mostrandosi in forma come al solito e stando ben attenta a evitare il parroco e le male lingue che avevano preso le parti di suo marito. Perché, una storia davvero incredibile, il pensare comune era che se lui l’aveva lasciata, qualcosa doveva pur aver combinato, lei. Se poi lui l’aveva lasciata per un uomo, che diamine poteva aver combinato per stravolgerlo fino a quel punto? La consapevolezza di non avere vicini omofobi, ma misogini l’aveva parecchio disorientata.
Per correttezza, è giusto sottolineare che la neo coppia aveva ripetuto a ogni cliente del bar (ed erano aumentati improvvisamente nelle ultime settimane), che la signora non era responsabile di niente e che anzi, era stata davvero amorevole e preziosa come moglie, solo che l’amour, l’amour… ah l’amour.
Sapeva che prima o poi in quel bar ci sarebbe dovuta entrare, lo doveva a se stessa, prima di tutto, per finirla con tutta questa rabbia e questo imbarazzo che le si era attaccato a ogni centimetro di pelle. Inoltre, fingere che tutto andasse bene tra loro avrebbe probabilmente chiuso la stagione dei pettegolezzi sulla spinosa vicenda. Si mormorava già che il panettiere nutrisse una certa passione per diversi tipi di polvere bianca e, andando tutto bene, in capo a un paio di settimane, sarebbe toccato a lui difendersi e cacciare via un eventuale nuovo tipo di clientela.
Davanti allo specchio, come quella sera con Jack, Ginger si era toccata tutta, un pezzo alla volta, per essere sicura di essere ancora lì. Lo aveva fatto quasi in ogni singolo giorno trascorso dalla sua scomparsa. Avendolo visto suonare per ben due volte al proprio portone, quella sera del trentuno ottobre, si era immaginata che al sorgere del sole si sarebbe alzato dalla poltrona, dinoccolato e indolente, e gradino dopo gradino sarebbe tornato in strada, per andare chissà dove con chissà chi. Invece, mentre stava per proporgli un caffè forte, lo aveva visto scomparire, con la nuova testa sotto braccio e un sorriso triste. Neanche un arrivederci a mezza voce.
Si guardò negli occhi, seria, e si chiese se tutte le vicende di quella sera fossero accadute davvero. La sua labile memoria, non era più una ragazzina, e i cocktail e le suggestioni di Halloween avevano probabilmente complottato con la sua fantasia, con la sua voglia di avventura. Magari aveva anche preso qualcuno di quei confetti: mangiare un risotto realizzato con mezza faccia di Jack O’ Lantern e passare la serata a discorrere con l’altra mezza faccia, non era un genere di esperienza comune, possibile o plausibile. E non poteva raccontarlo a nessuno. Anche perché, si ricordò, non aveva nessuno a cui raccontarlo. Jack le mancava e chissà se lo avrebbe rivisto. Magari procurandosi altri confetti e nascondendo altra Vodka dietro Guerra e Pace…
Che fuori ci fosse già un’insistente atmosfera natalizia la infastidiva. Ovunque pandori e panettoni, lucine colorate, e dalle varie sfumature dell’arancio si era passati ai rossi e ai verdi e agli schiaccianoci giganti alle entrate dei negozi. Sentiva un brandello di anima volare verso la slitta di Babbo Natale e nella sua testa già si auto compilava una lista di regali, quelli sempre desiderati e mai ricevuti. E l’albero, volente o nolente, le appariva nitido e grande e decorato con tante piccole zucche al posto delle solite palline. Anzi, mezze zucche. E questo non andava per niente, per niente bene.
O forse andava benissimo, pensò. Se c’era un innegabile vantaggio nel non frequentare più nessuno, era proprio quello: poter decorare casa e albero come meglio credeva. Se solo avesse avuto una minima attitudine ai lavori manuali. Era stata una schiappa all’asilo, dove la sua giovane età le era valsa come scusa e poi alle elementari, accusata di pigrizia. Alle medie si era defilata da qualsiasi attività di gruppo che prevedesse destrezza manuale e alle superiori si era rifugiata nelle sue capacità intellettuali. E ora, chi le avrebbe intagliato delle mezze zucche in compensato? Chi le avrebbe disegnate e dipinte e realizzato un forellino in cui infilare lo spago per appenderle?
Ginger sapeva benissimo a chi avrebbe potuto chiedere e non poté fare a meno di sentirsi profondamente offesa e imbarazzata. Quando, in tempi non sospetti, lei e suo marito avevano frequentato il famoso bar, il titolare aveva sfoggiato a ogni importante ricorrenza le sue decorazioni realizzate, tutte, rigorosamente a mano.
Ecco come ci si riduce quando si frequenta poca gente, pensò, ma decise che prima avrebbe dato un’occhiata in rete. Quindi determinata aprì il pc, dimenticando che sì, forse avrebbe trovato delle piccole zucche in vendita, ma mezze, era davvero improbabile. Chiese anche al falegname che lavorava due strade più in là, ma quello prima la guardò come se fosse pazza e poi le chiese uno sproposito. Intanto, fattasi l’ora di pranzo, Ginger decise che una delle tante gioie che meritava dalla vita erano i primi piatti di Offrino, l’oste più noto di tutta la provincia che, per sua fortuna, si era insediato a solo un paio di chilometri da lei. Quando entrò, tutti si voltarono a guardarla e poi bisbigliarono. Avrei dovuto trasferirmi in una grande città quando ne avevo l’occasione, si rimproverò, ma poi filò dritta verso un tavolo centrale, annunciò al cameriere che era da sola e ordinò tutto ciò che c’era di buono sul menu. Di fronte alla sua faccia vergognosamente soddisfatta, le male lingue tacquero e ripresero a mangiare. Sapeva bene, lei, che una volta uscite di lì avrebbero fatto il loro dovere e raccontato in giro che la povera donna si stava ingozzando da Offrino, senza vergogna.
Si andava per le due quando Ginger buttò giù il caffè offerto dalla casa e decise che prima di ogni altro impegno si sarebbe goduta anche un meraviglioso riposino post pranzo. Quindi uscì e sempre baldanzosamente tornò al proprio appartamento, pregustando il divano.
Infilata la chiave nella toppa, si rese conto che sul tappetino l’aspettava un sacchetto di cartone. Si guardò intorno circospetta, ma le scale erano perfettamente silenziose. Entrò in casa, posò delicatamente il sacchettino sul tavolo e, con circospezione, lo aprì: chi poteva averle mai recapitato settantacinque mezze facce di zucca, non solo già forate, ma persino inanellate, pronte per avvolgere l’abete? Settantacinque. Le contò, le rivoltò, cercò dei segni, scavò nel sacchetto a caccia di un biglietto.
Non le restò che andare in cantina a prendere l’albero e organizzarsi per trascorrere il pomeriggio addobbandolo. Su un foglietto di carta elencò gli ingredienti che le sarebbero serviti per la cena.
Avrebbe optato una minestrina leggera per compensare il soddisfacente pranzo, ma con un brodino vegetale d’altri tempi, con verdure fresche. E doveva anche procurarsi una decorazione vistosa per la cima dell’albero. Luci ne aveva e forse anche palline che ben si combinavano con le zucche, ma serviva un tocco finale, di classe. Finita la lista e elencati alcuni possibili puntali, si preparò un tè nero bollente e sprofondò in poltrona per sorseggiarlo con calma, quando sentì suonare il campanello.
2
Jack osservava la targhetta sotto il pulsante: ora il nome di Ginger compariva, in grassetto, in primo piano. La vera stranezza non era che lei avesse deciso di darsi un nuovo nome, senza per altro aver avvisato i pochi conoscenti, ma che lui fosse lì a leggerlo e che fosse a un passo dal raggiungerla. Dalla notte del trentuno aveva vagato per giorni e giorni, in attesa di rientro alla terra dei morti, ma non era accaduto nulla. Si era quindi preso la briga di osservare la vita degli umani lontana da Halloween e, benché avesse già compreso molto di loro, restò alquanto stupefatto da come un’assoluta ordinarietà potesse fondersi armoniosamente con momenti di puro genio e pensieri originali. Dunque Ginger non era la sola, pur essendo stata, per lui, la prima.
Quando aveva intagliato le mezze zucche, lo aveva fatto ridacchiando e covando la segreta speranza di spaventarla almeno un po’. Sapeva benissimo che non sarebbe accaduto, ma quest’anno era trascorso senza che lui fosse riuscito davvero a far sussultare qualcuno. A dire il vero, rifletté continuando a osservare incantato il campanello, erano state più le volte in cui gli uomini avevano spaventato lui. Della loro crudeltà era ben edotto, altrimenti non avrebbe potuto prendere forma nelle loro fantasie, ma aveva sempre creduto che si trattasse di una crudeltà piuttosto animale, grossolana, istintiva. La purezza, perciò, di alcuni pensieri sadici e sottili lo aveva lasciato interdetto e meno desideroso di addentrarsi ancora in quel mondo.
Ginger era un’altra storia. La sua tristezza, pulita, autentica, lo aveva messo al muro e lasciare mezza faccia nel risotto e vederla reagire, dopo tanto dolore, gli aveva fatto tirare un sospiro di sollievo. E poi aveva scoperto che, tristezza a parte, parlare con lei gli sollevava quell’anima che non aveva mai avuto. Gli offriva un peso, tentativo insolito e involontario di compensare una vita effimera.
La porta si aprì di scatto e Jack sobbalzando mosse un passo indietro. Non ricevette nessun ciao o entra pure, solo il silenzio e poco dopo Bach, tra le corde di un violoncello.
«Non so perché, mi aspettavo un buongiorno e grazie a distanza ravvicinata.»
«Mai aspettarsi niente dalla vita.»
«E Bach?»
«Dopo Halloween e prima delle canzoni di Natale c’è sempre Bach.»
«Secondo chi?»
«Secondo me. Il che potrebbe dire che rasento una fruttuosa legge che potrebbe e dovrebbe diventare universale, ma che non è mai stata presa in considerazione.»
«Hai dato fondo a tutte le mignon di vodka?»
«Non c’è più un goccio d’alcol in questa casa, ho buttato via tutto.»
«Che tristezza.»
«Vedo che hai una faccia tutta intera.»
«Sarebbe stato scortese rifiutare il tuo regalo.»
«Non sembra il mio regalo però, c’è qualcosa di diverso…»
«Ecco, l’ho un po’ limata, adattata alle mie esigenze.»
«Legittimo. Non mi convince, ma è legittimo.»
«Allora, che mi offri da bere?»
«Ho del tè caldo.»
«Passo. Vado a farmi una cioccolata.»
«Che ne sai se ho del cacao?»
«Ho sbirciato nella tua credenza settimane fa.»
«Devo insegnarti le buone maniere.»
«Disse la donna che trattava i suoi ospiti con sufficienza.»
Jack sparì in cucina e Ginger si accomodò nella poltrona. Sotto l’albero di Natale, che troneggiava accanto alla finestra, di fronte a lei, aveva posato un cestino e nel cestino tutte le mezze facce di zucca. Accanto, una scatola di palline di Natale color bronzo, luccicanti.
«Non possiamo decorare l’albero con Bach in sottofondo. È deprimente.»
«Bach non è deprimente.»
«Lo è rispetto alle canzoni di Natale.»
«Non è normale che tu preferisca Jingle Bells, te ne rendi conto?»
«Cosa dovrei ascoltare secondo te?»
«Non so, che tipo di musica ascoltate voialtri?»
«Quest’anno, Natale e stereotipi, il podcast della donna che non sapeva essere felice.»
«Mi adatto al mio pubblico.»
«Quando non sai che rispondere diventi un tantino insultante.»
«Hai ragione.»
«Scusa?»
«Scusa.»
«Che ne dici di mettere via il tè e di prendere invece una tazza di profumata e bollente cioccolata?»
«Nel mio stomaco non può entrare altro che acqua calda al momento. Magari dopo, come premio per aver decorato decentemente il mio bell’albero.»
3
Il rapido tramonto invernale aveva spazzato via la poca luce del pomeriggio. Il dirimpettaio di Ginger, un trentenne rampante che era solito correre sul suo tapis roulant davanti alla finestra, era andato a stendersi un po’, convinto di avere le traveggole: gli era sembrato, sul serio!, che Jack O’ Lantern stesse decorando un albero di Natale insieme alla strana signora che aveva incontrato qualche volta in strada.
Jack, in effetti, si era impegnato davvero molto con quell’albero e, vuoi per l’affinità con le decorazioni, vuoi per Ginger che lo incitava con stile da personal trainer motivatrice, il risultato era davvero entusiasmante.
La padrona di casa contemplava i rami decorati dalle mezze zucche, le sfere di bronzo, le lucine che si alternavano nel sottobosco come si contempla un bambino appena nato.
«Tuttavia e nonostante il mio ottimo lavoro», commentò Jack rovinandole l’atmosfera, «il tuo entusiasmo è prematuro.»
«Se non temessi di solleticare troppo il tuo ego, direi invece che l’albero è perfetto e che posso godermelo addentando le frittelle che andrò testé a comprare.»
«Comprare le frittelle? Sei seria? Hai almeno due chili di mele in cucina e io sono il mago della pastella!»
«Non rovinerò l’atmosfera con l’odore dolciastro del fritto. Ma si è mai vista una zucca più petulante?»
«Davvero, non ti sembra che manchi qualcosa?»
«Ho già detto di no» sostenne perentoria Ginger, vagamente allarmata dall’espressione meditabonda di Jack. «Ora io esco. Tu prometti di non svanire e di non toccare nulla.»
«Promettere? Noi del mondo dei morti assicuriamo al massimo incubi e qualche tortura, ma non stringiamo patti con gli esseri umani.»
«Sei in ferie, ciccio, rilassati» ordinò ancora la padrona di casa infilandosi il cappotto.
Ciccio? Pensò Jack sussultando sullo sbattere della porta blindata e subito dopo riprese a osservare l’albero.
In strada il freddo era pungente e le persone camminavano stringendosi nei cappotti. Ma no, erano tutte seppellite in strati di avvolgenti piumini, alcuni provenienti dai più famosi siti di e-commerce stranieri, altri di marche costosissime. Ginger per un attimo pensò, ma solo per un attimo visto che soffriva maledettamente il freddo, che in una storia strana come la sua ci sarebbe stato bene un freddo pungente accompagnato da un vento gelido e sferzante e mentre lo pensava cominciò a fioccare la neve. Il che le fece raddoppiare la dose di frittelle comprate e puntare anche a un sacchetto di polenta già pronta con porcini e asiago. Una schifezza, avrebbe detto Jack, ma insomma, era pur sempre casa sua e quello zuccone avrebbe dovuto imparare a starsene al suo posto, prima o poi. Scosse la testa piena di neve e guardò in su, tornando, verso la propria finestra. L’albero sembrava a posto. In fondo quanto era stata via? Tirò fuori lo smartphone dalla tasca del suo piumone Shein: quarantacinque minuti? Come sarebbe a dire quarantacinque minuti?!? Epperò aveva salutato la signora del 4c, di cui non ricordava mai il nome, e dato le indicazioni a una turista (lasciandole il suo numero perché a breve avrebbe aperto il b&b) e infine aveva riso e scherzato nel negozio, mentre era in coda per le frittelle, col terrore che qualcuno le comprasse tutte, prima del suo turno. Erano settimane che il tempo, che aveva paurosamente rallentato durante i tradimenti di suo marito, con giornate che sembravano non passare mai, quel tempo aveva preso a correre. Un po’ spaventata, come in preda a un presentimento, accelerò i passi, entrò nel portone e salì in fretta le scale. Sostò soltanto un attimo dietro la porta, poi si infilò in bocca una frittella ed entrò.
Jack non era in salotto, ma la luce in cucina era accesa e provenivano rumori di stoviglie. Ginger tirò un sospiro di sollievo e, dopo aver posato la piccola spesa sul mobile dell’ingresso, cominciò a sfilarsi il cappotto e i guanti.
«Che stai combinando lì dentro?»
«Ho pensato di avviare la cena, no? Il tempo di fare merenda e con tutto questo freddo avremo subito di nuovo fame e non mi va di cenare tardi.»
«Io non ti ho mica invitato per cena, però.»
«Sai solo lamentarti tu? Quanto vorrei sentirti dire qualcosa di allegro e di carino, solo per una volta.»
«Che stai preparando? Un altro risotto alla tua mezza faccia di zucca?»
«Ho trovato del ragù e della scamorza, ho fatto una besciamella al volo e sto per completare una teglia di pasta al forno.»
«Pasta al forno con la besciamella? Sei impazzito?»
«Potrei dirti che era una ricetta di mia madre…»
«Lasciamo perdere…»
«Per tranquillizzarti aggiungerò che è praticamente un dosaggio omeopatico. Lo uso solo per dare un po’ di corpo al sugo, che senza carne resta un po’, non saprei dire… Diciamo che non mi piace e via.»
«Parmigiano ne hai messo?»
«Quello in quantità industriali.»
«Almeno siamo d’accordo su una cosa. A questo punto sarei tentata di conservare le frittelle per il dopo cena, come dolce.»
«Ho fatto anche quello, tranquilla.»
Evidentemente, pensò Ginger, quarantacinque minuti hanno un valore diverso per diverse persone. Persone. Uhm. Esseri? Entità? In ogni caso, lei li aveva impiegati per prendere freddo e comprare del cibo pronto e lui per cucinare due piatti sicuramente strepitosi (ricordava ancora la sua, inspiegabile, maestria nel preparare il risotto).
«E di che dolce si tratta? Con che ingredienti lo hai fatto? Non avevo nulla in casa!»
«Siamo destinati a ripetere sempre le stesse conversazioni, pare.»
«Non lo sai che con l’età ci si irrigidisce sempre di più sulle stesse posizioni?»
«Avevi una confezione di amaretti e del mascarpone nascosto in frigo e io mi ero portato dietro una stecca di cioccolata fondente. Fidati, ne è venuta fuori una cosetta niente male.»
«Sai come capivo che mio marito mi aveva tradita? Gli veniva la smania di cucinare, di andare al ristorante, di ordinare in rosticceria. Senso di colpa.»
«Ne prendo atto.»
«Stai cercando di farti perdonare qualcosa?»
«Ho cucinato per te anche quando ci eravamo appena conosciuti, te lo ricordi? Niente sensi di colpa per il sottoscritto, solo passione per il cibo.»
«Un momento» notò Ginger sospettosa «dove sono finite le mele?»
«Ah quelle… Le ho usate per l’albero naturalmente.»
Mentre Jack si puliva le mani con un canovaccio, Ginger corse in salotto. Sulle prime l’albero le sembrò identico a quando era uscita di casa, ma poi osservandolo meglio, notò che tra le mezze zucche facevano capolino delle fettine di mela essiccate, con il bordo rosso di buccia.
«Ti avevo detto che secondo me mancava qualcosa» spiegò Jack, mentre la raggiungeva. «L’albero sembrava raccontare solo la mezza storia di una mezza faccia. Mancava la tua presenza, quindi…»
«Quindi per te sono una mela essiccata?»
«Essiccata proprio non direi…»
Ginger sembrava una pentola a pressione pronta a esplodere.
«Direi invece» aggiunse Jack «una mezza mela.»
«E secondo te come è mai possibile che si combinino una mezza zucca con una mezza mela?»
«Non è assolutamente possibile» ribadì lui.
«Ci vorrà molto per la pasta al forno?»
«Una mezz’ora di cottura e un’oretta per farla rassodare.»
«Allora prendo le frittelle.»
«Io il tè. E aspetta che porto piattini e tovaglioli o sporcheremo di olio le poltrone.»
Ginger sbuffò e si sedette con il sacchetto di frittelle in grembo.
«Non è che per caso hai il dvd di Miracolo nella 34ª strada?»
Senza aspettare la risposta, Jack scomparve in cucina e, guardando oltre i vetri, Ginger vide che la neve aveva preso a cadere più fitta.