Un barattolo di confetti

Ginger aspettava di morire. Non si chiamava Ginger, naturalmente, ma, visto l’approssimarsi della propria dipartita, si era detta che era ora di darsi un nome decente. Tanto non l’avrebbe saputo nessuno, primo perché sarebbe morta da sola, secondo perché nessuno le era rimasto cui raccontarlo. Tutti andati, defunti. 

Solo signora morte le si sarebbe presentata con garbo, chiedendole come ti chiami e a lei sì, lo avrebbe detto, sentendosi come un’attrice in bianco e nero, molto sofisticata ed elegante. Non è che però la portatrice di falce era a conoscenza di tutti i nomi di tutte le persone da recuperare su questa terra? Allora l’avrebbe tirata a sé col suo codice fiscale e no, questo avrebbe rovinato davvero tutto. Decise che almeno su questo sarebbe stata lei ad avere la meglio, perché a nessuno si nega un ultimo desiderio, giusto? A meno che non sia stato cattivissimo e lei certo non era Ted Bundy, quindi di che preoccuparsi? Sistemò meglio la coperta sulle ginocchia e guardò di nuovo oltre la finestra. Le strade, fuori, vibravano di riflessi arancioni e le case, non tutte, erano ricoperte di ragnatele e anche questo era abbastanza divertente: andarsene ad Halloween. Una sorta di viaggio premio da cui sarebbe potuta tornare sotto forma ectoplasmatica, infestando le case dei vicini e del suo ex marito, che le aveva preferito il barista sotto casa. Verrò a tirarvi i piedi di notte, aveva detto l’ultima volta che li aveva incontrati e chissà se avevano capito l’antifona. Che bella coppia che erano. Due bei ragazzoni d’altri tempi, alti e slanciati. E poi, come aveva detto la merciaia, in quartiere ne serviva una così, per portarsi al passo coi tempi. 

Sulle prime, mentre lui spiegava la situazione, non aveva voluto dir niente, per mostrarsi all’altezza della situazione e dell’intelligenza che tutti le avevano sempre riconosciuto, ma alla fine se ne era fregata della propria intelligenza e lo aveva mandato gloriosamente a quel paese, sciorinandogli i non detti di una vita. In fondo, che si trattasse del barista o della parrucchiera all’angolo, poco cambiava: era il suo ennesimo tradimento e lei era davvero stanca. E no, certo che non poteva disquisire sulla bisessualità di lui, e non la si poteva certo definire omofoba, ma che le sue corna fossero ad ampio spettro aveva di anno in anno raddoppiato il contenitore dei risentimenti. Non ti riconosco più, aveva commentato lui perplesso e anche un po’ terrorizzato dalla reazione di lei. Se non esci di qui nei prossimi cinque minuti, aveva minacciato Ginger e lui avendo colto un barlume di furia omicida era letteralmente fuggito. 

Per un po’ era andata a stare da una sua amica, visto che non le era rimasto nessuno e non aveva figli, ma poi era morta pure quella e il padrone di casa aveva già pronto un nuovo affittuario. E che diamine, aveva concluso Ginger, di tutte le persone che ho potuto amare, è rimasto in vita solo quel disgraziato, che ora viveva con il suo compagno, in un bell’appartamento, un piano sopra il suo.

Si erano proposti per una soluzione utile a tutti loro: una pacifica convivenza nello stesso condominio, una vita tranquilla nel quartiere, aiutandosi a vicenda man mano che il tempo passava, ma lei aveva risposto piuttosto la morte, ed ecco com’era finita qui.

Considerando la propria dipartita, non le rodeva tanto di morire senza figli o dimenticata, le rodeva che a ricordarla sarebbero rimasti proprio quei due, che le avrebbero riempito la tomba di orrendi gigli, i preferiti di suo marito, quando tutti sapevano… Diamine, non ho detto a nessuno che preferisco le rose, constatò interrompendo il deprimente flusso delle considerazioni pre morte. Si alzò, prese un blocchetto per gli appunti e annotò: niente gigli sulla tomba, possa cogliervi la peste, solo rose rosse e non fatemelo dire due volte.

Al funerale, riprese a pensare poi, i fidanzatini avrebbero pianto insieme e si sarebbero tenuti la mano e tutti avrebbero pensato che carini e morta lei li avrebbero invitati a destra e a manca senza timore di farle dispiacere. Avrebbe dovuto prendere un aereo e andare a morire lontano, buttandosi da una rupe, questo avrebbe dovuto fare: niente resti, niente funerale. Avendo paura degli aerei, però, la cosa era fuori discussione.

La settimana prima, il parroco, mosso da compatimento e allertato da chissà quale anima pia, l’aveva fermata per strada, offrendosi per qualche chiacchierata di sollievo e le aveva messo in tasca un bigliettino da visita di sua cugina, una psicologa bravissima, mi creda, disposta a non prendere molto perché, mi scusi se mi sono permesso, le ho spiegato la sua situazione economica. Poi si era defilato con l’espressione di chi si è guadagnato un altro pezzetto di paradiso e lei gli aveva mugugnato dietro, col cavolo che ci sarebbe andata. Lei voleva morire e non ci avrebbe rinunciato solo per fare sentire bene questi maledetti cattolici.

Jack O’Lantern le dava apertamente ragione. Era appollaiato sulla finestra di fronte alla sua, si scrutavano ormai da minuti interi, e si capiva chiaramente che era pronto a darle il suo appoggio. Chissà se uno come lui soffriva di solitudine. Allora aprì un’imposta per chiedergli Ehi amico, sarebbe carino se potessimo prenderci un caffè insieme e dopo un attimo, quello disse ok, dammi cinque minuti e arrivo. 

Plausibilmente sorpresa, lo vide saltare dal davanzale e attraversare quatto e snodato la strada. Giunto sotto il portone, un po’ seccato di non trovarlo aperto, cominciò a osservarla con la zucca di traverso, finché lei non si decise a farlo salire.

Naturalmente preferirei un Macallan, sbuffò già quasi scocciato e aspettandosi il solito tè, ma non credo tu ne abbia. E invece sì, trinfò lei, sorprendendolo. Perché lo aveva sgraffignato dalla riserva speciale di quel disgraziato al bar. Una bottigliona lussosa in attesa di celebrare le nozze col suo nuovo amore. Non l’ho mai aperta, confessò, ero indecisa tra romperla contro uno spigolo e svuotarla nel water o scolarmela stasera. Una fortuna che io sia venuto a trovarti, allora, considerò lui, accomodandosi in poltrona. 

Dipende dai punti di vista, disse lei porgendogli un bicchierone e aspettandosi che il Macallan fuoriuscisse dal collo che lui non aveva. Ma non accadde. A beh, allora tutto è possibile, si disse.

Posso avere un confettino, chiese Jack con l’acquolina in gola e puntando il vasetto pieno di pilloline bianche. Perché no, disse lei porgendoglielo, quando avrebbe dovuto dirgli assolutamente no, non puoi, non sono confetti. È che alla fine le era venuta voglia di vedere come andava a finire questa storia. E Jack ingollò un’intera manciata di confetti e la buttò giù con due generose sorsate di Macallan. Poi rimase a osservarla e lei osservava lui, in attesa che accadesse qualcosa. 

Si doveva essere appisolata, perché quando si svegliò Jack non era più lì, ma dalla cucina veniva uno strano sfrigolio e il profumino non era niente male. Jack, che cazzo combini, urlò non appena varcata la soglia. M’è venuta fame ribadì lui con mezza testa, mentre cucinava l’altra in padella. Non hai del riso da qualche parte? Fa freddino stasera e io ho una ricetta da far resuscitare i morti.

Ginger andò a prendere il riso, obbediente, e poi un cipollotto e del vino bianco. Lui voleva metterci la panna, ma lei rifiutò categoricamente e quella e il burro. Voi inglesi non sapete proprio cucinare. Che poi, voleva proprio vedere come avrebbe fatto a mangiarselo, lui, quel risotto, con mezza testa, mezza faccia, mezzo naso e mezza bocca. Ma lui ci riuscì, non si sa come, ma ci riuscì. Il riso scompariva chissà dove non appena raggiunta l’altezza della bocca sdentata e Jack mugolava di piacere a ogni cucchiaio. Quei tuoi confetti erano un po’ strani, confessò a metà piatto, mi hanno dato delle allucinazioni. Ma davvero, chiese lei. Non mi era capitato mai in tutta la mia vita, ribadì Jack. E cosa hai visto, cosa hai visto si incuriosì Ginger. Ecco, raccontò lui, ti eri appena addormentata, quando al tuo posto è comparso un fantasma, che faceva la maglia. Come la maglia, protestò lei che riteneva di intendersene di fantasmi. Sì, la maglia, confermò Jack, sembrava una bandiera arcobaleno.

Mi stai prendendo per i fondelli, Jack. Può darsi, ridacchiò lui. Non dovresti portare rispetto a chi ti ha ospitato in casa propria? A dire la verità, spiegò lui tirando fuori degli occhiali dal taschino e inforcandoli, non si sa come, sarei tenuto a portare rispetto alle creature del mio mondo, ma a te, a meno che tu non sia quel fantasma, ecco a te non devo proprio niente. Ti stai facendo cupo, Jack. Non è una tua impressione, Ginger. Quindi, sono morta, morta per davvero intendo? A te che sembra?, replicò lui con tono da psicoanalista.

Ginger si alzò da tavola e cominciò a tastarsi, partendo dalla testa, cavità orbitali e collo, il petto, la pancia, ma tutto sembrava al proprio posto. Raggiunse lo specchio. Che diamine, urlò, che mi aspettavo, di essere una signora Dracula senza alcun riflesso? Smettila, si disse guardandosi negli occhi, forse il Macallan te lo sei scolato da sola e ora ti ritrovi a cucinare risotti con mezza zucca. Jack, apparve alle sue spalle, facendola sussultare dalla paura. Che strana era la sua mezza faccia e quel fuoco che aveva negli occhi, accanto alla sua faccia, triste e spaventata. Coraggio, le disse lui posandole una mano sulla spalla, tra la vita e la morte a volte non c’è poi così tanta differenza e, credimi, per te potrebbe essere un bene.

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